Olivo Barbieri è nato a Carpi (MO) nel 1954. Frequenta la facoltà di Pedagogia e il D.A.M.S.di Bologna, durante questi anni, a partire dal 1971 intensifica il suo interesse per la fotografia. Si dedica alla ricerca fotografica, inizialmente partendo dalla fotografia sociologica per poi concentrarsi sulla luce artificiale che ha per soggetto il paesaggio, l’architettura ed il loro rapporto con la notte. Espone in numerose mostre italiane e dal 1978 anche all’estero. Attivo partecipe degli sviluppi della fotografia italiana contemporanea, dai primi anni ’80 è presente nelle più importanti campagne di documentazione territoriale in Italia.
Dal 1989 compie regolari viaggi in Cina, paese di cui studia al tempo stesso i segni della tradizione e le affinità con la cultura occidentale. Negli stessi anni visita l’India: da questi viaggi scaturiscono foto che ritraggono le grandi architetture monumentali ma anche i quartieri abitativi sovraffollati che mettono in luce il contrasto della coesistenza di antico e moderno. La macchina fotografica di Barbieri è sempre alla ricerca della sintassi del luogo visitato: le immagini delle città cinesi (Pechino, Canton, Shangai, yongding), indiane (New e Old Delhi, Kanyakumari) e orientali appaiono incerte nella loro combinazione di messa a fuoco ed elemento sfocato: sono immagini che ribaltano il tradizionale rapporto Occidente/Oriente aprendo lo spazio rappresentativo alla diversità, all’ignoto Altro. Questo è il narrare nomade di Barbieri, il vedere e rappresentare le sfumature della differenza sperimentate nella pratica e nei ricordi di altri luoghi, di altri individui, trascendendo il dualismo centro/periferia. Il biennio 1999/2000 vede Olivo interessato a ritrarre realtà e spazi della nostra Italia: nel 1999 ci propone un’inedita serie di immagini che raffigurano nuovi e vecchi stadi del nord e del sud della penisola rappresentati come videogiochi, dove il verde compatto e telematico del campo si contrappone ai colori variegati di migliaia di anonime teste.
Nel 2000 Barbieri fotografa gli interni dei tribunali di Roma, Milano e Palermo, mostrandoci atri, scale, aule e aule bunker: ambienti con strutture architettoniche che alludono alla vecchia rappresentatività e alla nuova funzionalità di quei luoghi. Nello stesso anno Barbieri intraprende di nuovo un viaggio in Oriente, in Tibet, dove ritrae interni di templi riccamente ornati, spazi in cui disegni e colori prevalgono sulla presenza delle divinità, dove l’elemento decorativo rappresenta la coesistenza di secolare e sacro. Le immagini di Barbieri confermano a noi tutti l’impossibilità di impacchettare una cultura, hanno la capacità di rallentare e intensificare i processi d’osservazione dando il via ad una percezione più viva del dettaglio e dei rapporti figura/fondo che altrimenti verrebbero trascurati.
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