Muri Antichi di Santo Mongioì
[…] una rete di sole che si smaglia sui tuoi muri […] una croce di case che chiamano piano, e non sanno ch’è paura di restare sole nel buio.
(Salvatore Quasimodo)
C’era una volta …
la storia incominciò quando un uomo ebbe il desiderio di dare espressione all’immagine di un muro; quando Mongioì ha iniziato a raccontare i “suoi” muri come piccole entità ancora in essere. Muri vivi e vitali, preziosi in quanto antichi.
Questi muri hanno avuto vita longeva e come ogni cosa sono destinati prima o poi ad una lenta decadenza; a crollare rovinosamente per semplice vetustà o ad essere sostituiti da nuovi e moderni muri, abbattuti dalla mano dell’uomo e resi polvere, calcinacci e pietrame.
Questo lavoro fotografico palesa la condizione privilegiata dell’essere ancora muri, “Muri antichi”. L’autore nel suo girovagare alla ricerca dello scatto fotografico sceglie le inquadrature e lascia alla postproduzione ragionata la modifica di luci ed ombre in atmosfere non banali … baluginii come piccole voci si posano di superficie in superficie ed un nuovo rispetto veste i muri rugosi e sbrecciati di tanti paesi, vicoli e case.
“Muri antichi”, sguardo attento di un “antico” romantico, dimostra la padronanza estetica del linguaggio fotografico e le competenze tecniche del Mongioì; è la reiterazione consapevole e meditata di un unico soggetto in un tumulto emotivo.
La sequenza è incalzante: muri e muri, in immagini quasi sempre di ampio respiro, svelano parti nascoste o non più considerate del territorio edificato.
La rappresentazione fotografica ci introduce in un mondo volutamente tridimensionale e tattile, l’autore, quasi come un artigiano, costruisce la sua interpretazione secondo nuove realtà caratterizzanti: il “buio” è avvolgente e sono solo i muri ad emergere impetuosamente in lampi di luci e bagliori diffusi ed a cieli brumosi si contrappongono colori carichi di significati e corposità, stratificati come olio su tela. E ci si accorge, con stupore che i muri non sono grigi come in un comune immaginario ma invero sono colorati!
Ecco quindi che intonaci marezzati di rosa, azzurro, rosso, giallo, arancio gareggiano con gli azzurri, i verdi e i rossi di porte e finestre spesso incorniciate da bianchi stipiti; un glicine in piena fioritura con il suo classico colore avvolge amorevolmente il muro grezzo a costituire una cornice visiva ad un triangolo di aperture; tegole brillano delle multi-tinte di muschi e licheni; tessiture murarie in pietre e laterizi si ricoprono di verde muschio. E mentre scale, percorsi e vicoli invitano l’osservatore ad un orientato percorso visivo, ci sia accorge di essere guardati e scrutati da tanti “occhi”, quelle porte e finestre ora chiuse, sbarrate o spalancate e vuote che sembrano interrogarsi sul come mai qualcuno si sia interessato a loro.
Un lavoro raffinato ed appassionato da osservare lentamente, percorrendo quella longevità racchiusa fra le pieghe delle immagini secondo la deformazione del tempo e la memoria del ricordo. Una lentezza da considerare opportunità di meditazione sull’esistenza. La doppia valenza di muro concreto ma nel contempo anche metaforico prelude ad un prossimo compiersi, il dramma del perdersi definitivamente soli nel buio e nel silenzio.
La fotografia si eleva a vicenda esistenziale in profonde riflessioni, parallelismi e consapevolezze.
Daniela Sidari