Bhopal, 39 anni dopo la catastrofe di Suryene Ramaget
Nel 1984 nell’India centrale si verificò quello che è probabilmente il più grave disastro industriale della storia: nello stabilimento chimico della Union Carbide di Bhopal un incidente portò al rilascio di oltre 42 tonnellate di isocianato di metile, un composto chimico utilizzato per la produzione di pesticidi. Una nube altamente tossica si propagò nell’area intorno alla fabbrica contaminando e uccidendo migliaia di persone. Dall’inchiesta che seguì il disastro di Bhopal risultarono carenze nel sistema di sicurezza, ma i risarcimenti furono molto bassi e le condanne molto lievi. Oggi il sito è rimasto per lo più inalterato: ospita ancora centinaia di tonnellate di rifiuti contaminati e la situazione della falda acquifera è molto grave. «Il disastro di Bhopal è in realtà ancora in corso», ha scritto l’Atlantic in un lungo articolo. Il sito del più grave disastro industriale al mondo, cioè, deve ancora essere decontaminato.Ogni anno, ancora oggi, numerosi bambini nella zona attorno al vecchio impianto nascono malformati e con gravi disfunzioni. I casi di cancro, di diabete e di altre malattie croniche sono più alti rispetto alla media. Tutti sanno che la nube tossica ha avuto gravi conseguenze sulla salute delle persone: ma ci sono voluti anni perché venisse riconosciuto il fatto che anche l’acqua di tutta la zona fosse contaminata e che gran parte delle attuali patologie dipenda proprio da questo.Ogni anno, ancora oggi, numerosi bambini nella zona attorno al vecchio impianto nascono malformati e con gravi disfunzioni. I casi di cancro, di diabete e di altre malattie croniche sono più alti rispetto alla media. Tutti sanno che la nube tossica ha avuto gravi conseguenze sulla salute delle persone: ma ci sono voluti anni perché venisse riconosciuto il fatto che anche l’acqua di tutta la zona fosse contaminata e che gran parte delle attuali patologie dipenda proprio da questo.
Nelle ventidue comunità che si sono sviluppate intorno alla vecchia fabbrica di Bhopal si sa ormai da quasi vent’anni che le acque sotterranee contengono livelli tossici di solventi clorurati. Sei anni fa, grazie al lavoro degli attivisti, la Corte Suprema dell’India ordinò di installare delle tubature che portassero in questi paesi acqua pulita dal fiume Narmada. Ma le tubature che entrano in alcune case passano attraverso le fogne, che nei giorni di pioggia contaminano l’acqua pulita. Di recente è stato dimostrato che ci sono altre 20 comunità in cui l’acqua è contaminata. Lo scorso marzo la Corte Suprema ha dunque ordinato che venisse assicurata acqua pulita anche in queste aree, e che venissero costruite nuove reti fognarie e di drenaggio.
Chi vive lì dice che dopo l’intervento della Corte Suprema la situazione è migliorata. Prima, hanno raccontato, «l’acqua era spesso gialla, a volte rossa e puzzolente. Sembra che ora abbia un odore migliore, ma arriva solo per un’ora al giorno. A volte sono le 2 del pomeriggio, a volte le 12, a volte è sera. Dobbiamo sederci e aspettare». Nei giorni in cui l’acqua non arriva per niente, le persone continuano a bollire l’acqua contaminata che esce dalle pompe a mano per lavarsi, per lavare i vestiti e per bere e cucinare.
Costruire nuove tubature, anche se funzionassero, non sarebbe comunque la soluzione definitiva. Il sito dovrebbe infatti essere completamente ripulito e decontaminato dai rifiuti tossici. La giornalista che ha scritto l’inchiesta sull’Atlantic ha incontrato Vishvas Sarang, il responsabile del sito e delle persone che ci abitano intorno, per lo stato di Madhya Pradesh. Aveva fatto molte promesse: aveva detto di voler introdurre delle facilitazioni per i malati negli ospedali locali, di voler costruire strade e parchi per migliorare la qualità della vita, di voler offrire migliori posti di lavoro e nuove opportunità economiche. Le promesse però non sono state mantenute. Sarang aveva anche detto che i lavori di ripulitura dai rifiuti tossici sarebbero terminati nel giro di due o tre mesi. Ma era più di un anno fa e, dice l’Atlantic, la situazione non è ancora stata risolta.
La fabbrica di Bhopal fu aperta in un periodo particolare per l’India: quando negli anni Sessanta e Settanta iniziò la cosiddetta “rivoluzione verde” che portò a molti progressi nell’agricoltura grazie anche all’introduzione di fertilizzanti, pesticidi, vegetali geneticamente selezionati e fitofarmaci che incrementarono rapidamente la produzione di cibo per la popolazione di tutto il paese, allontanando il rischio di carestia e riducendo la dipendenza dagli aiuti esteri e dalle importazioni. Fu a quel tempo che la Union Carbide Corporation (UCC, multinazionale statunitense) iniziò a commercializzare i propri pesticidi. Nel 1969 costruì uno stabilimento a Bhopal per fabbricarli sul posto, prima importando l’isocianato di metile, il gas tossico necessario per produrli, e poi dal 1980 iniziando a produrre il gas sul luogo. Quattro anni dopo ci fu l’incidente.
Nessuno sa esattamente quante persone siano morte quella notte. Le stime ufficiali del governo parlarono inizialmente di 3 mila persone, poi furono riviste: 5.295 è il numero ufficiale. Altre stime parlano di 8 mila o 15 mila solo nelle prime settimane. Negli anni successivi è stato poi calcolato che siano state almeno 25 mila le morti legate all’incidente e che 560 mila persone abbiano avuto danni gravi o irreversibili. Le stime del governo per le morti non hanno senso, però, ha raccontato all’Atlantic l’attivista Rachna Dhingra: «Il governo ha approvato pensioni per 5.000 vedove. Se stai dando pensioni a 5.000 vedove, allora come può la cifra delle morti essere pari a 5.295? Non è che sono morti solo gli uomini. Anche le donne sono morte, anche i bambini sono morti».