La forma dell’acqua
Mostra fotografica personale di
Rosaria Pantò
A volte le persone non si conoscono davvero bene, nemmeno se le frequenti spesso. Rosaria Pantò, “Sara” per gli amici, l’ho sempre considerata una signora pacata, elegante, tranquilla, forse perfino timida quando la vedevo il venerdì sera al gruppo “Le Gru”. Sapevo che era una viaggiatrice appassionata, ma niente di più. E andando a guardare le sue foto in casa sua, nel suo mondo, e con il contorno dei racconti della sua vita, ho scoperto che dentro trattiene un mare in tempesta … una forza simile a quella di una montagna di ghiaccio. Emozioni tutt’altro che “timide” e che trovano pace e compimento nella fotografia che le imprime per sempre sulla carta.
Sara Pantò è una fotografa di impatto. I suoi scatti lasciano spesso senza parole per i colori, i soggetti, la grandiosità della prospettiva. E raccontano lei meglio di mille parole: la forza d’urto, come dicevo, ma subito dopo una sensibilità raffinata, una delicatezza discreta, tipica di chi ha affrontato e superato molti ostacoli nella vita con enorme dignità. Tutto questo si intreccia e si fonde nella sua mostra su “la Forma dell’Acqua”, titolo che rievoca Camilleri e il suo eterno commissario Montalbano.
“L’acqua non ha una forma, assume quella del contenitore in cui si trova” diceva Montalbano. Il discorso viene ripreso da Sara, sebbene con un punto di vista diverso. L’acqua non ha una forma perché ne assume migliaia, e non ha bisogno di un contenitore per farlo … le basta diventare ghiaccio, rugiada, vapore acqueo, pioggia, fiume, lago. E in ognuna di queste nuove vite raccoglie e trasmette emozioni sempre diverse. Perfino una pozzanghera piena di foglie è una forma ben definita, così come lo sono le gocce di uno zampillo, la melma del letto di un fiume, la schiuma leggera che le onde regalano al cielo. E l’arcobaleno che tutti ammiriamo, sopra il mare o nell’impianto di irrigazione di un giardino, è anche quello una forma d’acqua. Forse a tanti sembrerà che tutte queste scene diverse, colori diversi e prospettive diverse non hanno un filo conduttore comune … forse non si vedrà immediatamente la forma dell’acqua … ma se si guarda la mostra nel suo insieme si legge chiaramente un coro di emozioni. Quelle che ha provato un’autrice così originale. Quelle che, però, proviamo ogni giorno tutti noi e nelle quali possiamo riconoscerci.
Grazia Musumeci
Sulle pareti della nostra sala, stasera, dal riflesso azzurro di una distesa d’acqua, sorge, leggera e silenziosa, una ninfa nuova che, da quell’elemento nasce ma, che da quell’elemento vuole staccarsi, cercando nuovi volti, nuove sembianze, nuove stagioni.
Incontra l’aria ed evapora, incontra il freddo e si cristallizza, incontra un ostacolo e cade zampillando, incontra la superficie e si fa specchio; poi, si muove ed è già riflesso di colori e di fantasie; quando, infine, stanca si riposa, foglie e verzure la ricoprono di colori magnifici che nascondono, forse, un lento decadere. E’ così? Chissà!
L’acqua come lacrime, intanto, ha rigato altre superfici ma, poi, è giunto l’arcobaleno e tutto questo emozionante percorso ha svelato il desiderio di un “per-dono, casto e puro”.
Sara ci ha portato una sequenza che l’ottima amica Grazia ha fatto zampillare dalle profondità degli archivi digitali.
Personalmente, dapprima, avevo guardato all’elemento, alla chimica, alla simbologia religiosa, anche all’estetica, perfino alla musica, e avevo trovato tanti spunti interessanti per riflettere e scambiare emozioni.
Poi, dopo, ho pensato: e se la proposta fosse letta come una metafora della comune esistenza,quella impastata d’ingenua fondamentale innocenza e ingenuità che incontra il male di vivere e, quando ci riesce, si fa colore di arcobaleno?
Avrà, magari, i toni della fiaba ma questa intuizione interpretativa mi soddisfa di più.
Mi conforta in tal senso la volontà dell’Autrice di mettere a fuoco tutti gli elementi dell’immagine, l’economia degli strumenti utilizzati, la fiducia nel colore come abito del tempo, la risoluta insistenza di connotare emotivamente ogni singolo fotogramma.
“Acqua azzurra, acqua chiara”, cantava Battisti cercando qualcosa di puro.
Sara, sembra sussurrarci di “lasciar perdere la purezza fine a se stessa, che non ha forma e, forse, sta lontano,da qualche altra parte, e cercare, vicino a noi, l’acqua vera, sincera. E trovarvi una forma nuova”.
Pippo Pappalardo