Valle del belice tra storia e memoria
Mostra fotografica di AA.VV.
Per capire l’anima di Gibellina bisogna prima vedere il Cretto di Burri. L’enorme opera di arte contemporanea, che ha fossilizzato nel cemento le fondamenta di Gibellina vecchia (quella, per intenderci, rasa al suolo dal sisma del 1968) dà l’idea di quello che è successo qui. La perdita di identità di un intero paese, di una popolazione.
A partire dal nome: Gibellina, da gebel (monte, in arabo), che non ha più senso nel sito della ricostruzione, in pianura. E poi c’è l’architettura moderna, fantasiosa, astratta che ha reso il paese nuovo di fatto una sorta di museo a cielo aperto ma ha pure annullato secoli di storia che si sarebbero potuti leggere tra mattoni, balaustre e tegole delle case. Insomma, a Gibellina il terremoto ha distrutto e l’uomo ha cancellato.
Fotografare questa città è stata un’esperienza intensa, per il gruppo fotografico Le Gru. Da un lato si è ammirato e apprezzato lo sforzo artistico di rendere quei luoghi indimenticabili, nella loro rinascita dopo il terremoto, dall’altro si è toccata con mano la distanza siderale tra la gente e la città. La fotografia di Gibellina è architettura pura, perché non ci sono persone per le strade. La gente non sente proprie quelle piazze, quei campanili a forma di missile, quei portici ultramoderni, quei monumenti indecifrabili fatti da artisti stranieri senza nemmeno conoscere il territorio. L’idea che viene in mente è desolazione. La foto che si visualizza in mente è in una scala di grigi, anche quando nella realtà è a colori. La mancanza di persone, la mancanza di vita, penalizza Gibellina. Eppure la memoria del passato è ancora viva nelle vicinanze. Basta camminare per le rovine di Poggioreale, tra strade, piazze, scuole, chiese e botteghe mangiate dal tempo nell’abbandono totale per intuire cosa sarebbe stata Gibellina vecchia, se fosse rimasta visibile. E le fotografie scattate qui non possono slegarsi dal concetto “passato-presente”, infatti fanno confronti, cercano legami e trasudano nostalgia. Anche se noi catanesi questi luoghi non li abbiamo vissuti e certe esperienze (il terremoto, la ricostruzione, l’arte) le abbiamo solo lette nei libri di storia.
Grazia Musumeci