IL TRAMONTO DI UN’EPOCA
OMAGGIO AI MINATORI PERITI NELLA MINIERA DI ALBONA (ISTRIA)
MOSTRA FOTOGRAFICA
di Virgilio Giuricin di Rovigno (Croazia)
Recensione di Tullio Vorano
In Istria, Croazia, nell’ Albonese, la fine del secolo e del millennio è stata contraddistinta anche dall’estinzione di un processo produttivo estremamente significativo: la chiusura delle miniere di carbone. Da queste parti le attività minerarie iniziarono già nel diciassettesimo secolo – i primi cenni d’archivio fanno riferimento all’anno 1626 – e dunque al periodo dell’amministrazione Veneta. Tempi in cui quaranta minatori o poco più, con attrezzature e tecnologie d’epoca, erano in grado di estrarre ogni anno fino a 500 tonnellate di carbone. In seguito, dopo alti e bassi, momenti di gloria e momenti di crisi e di profonda recessione, sotto l’amministrazione austriaca ma soprattutto sotto quella italiana, si registrò un vertiginoso aumento della produttività fino a che, negli anni ’40 del secolo scorso, le miniere albonesi arrivarono a dare impiego a oltre diecimila minatori, per raggiungere e addirittura superare il milione di tonnellate di carbone annue che venivano estratte. Si trattava dunque, a tutti gli effetti, di un vero colosso industriale. Grazie all’avvio della produttività in cave moderne, le Miniere d’Arsia divennero famose sia a livello nazionale sia a livello mondiale.
Erano tempi in cui il cosiddetto «oro nero» rappresentava una fonte d’energia straordinaria, che spronava lo sviluppo dell’industria e del traffico. Nel contempo le Miniere Istriane realizzarono tutta una serie di iniziative che influirono profondamente e a volte anche del tutto, sull’ambiente anche al di fuori del complesso industriale. La bonifica del lago di Cepich, le irrigazioni della valle di Carpano e della valle del fiume Arsa, offrirono all’agricoltura una non indifferente possibilità di progredire grazie all’ampliamento dei terreni coltivabili ma si pensò anche a nuovi spazi edificabili destinati alla costruzione di case e abitati e nacquero nuovi centri urbani. Citiamo ad esempio Arsia, cittadina – modello, creata su progetto dell’abile architetto triestino Gustavo Pulizer Finali. Nel corso del XIX e del XX secolo, dunque, l’attività mineraria influì in modo incisivo e diretto sulla vita nell’ Albonese ma anche di tutta l’Istria, per non andare oltre. Il tramonto definitivo di quest’ epoca avvenne ai giorni nostri, nel 1999, quando anche l’ultima miniera di Tupliaco che operava in ambito all’azienda «Miniere Albonesi Tupliaco», venne chiusa dall’amministrazione croata.
Con la macchina fotografica, sua fedele compagna, nella primavera di quel fatidico anno, pochi giorni prima che cessassero le attività produttive, Virgilio GIURICIN, esimio maestro di fotografia artistica, scese in più occasioni nelle viscere delle miniere di Tupliaco per immortalare nell’arco di due settimane, a profondità tra i 250 e i 300 metri, gli ultimi momenti di vita della miniera. Come mai questo suo interessarsi alle miniere? In oltre cinquant’anni di carriera fotografica Giuricin aveva già fotografato tutto o quasi tutto. Dalla terra e dal cielo, al di sopra e al di sotto del livello del mare. Mancava dunque, nel suo albo, soltanto il sottosuolo. Ma la ragione non era soltanto questa; ce n’era anche un’altra. Da ragazzo, nell’immediato dopoguerra, nel periodo dell’ex Jugoslavia, Giuricin prese parte alle cosiddette «brigate del lavoro volontario» che a quei tempi venivano inviate in Istria, in maniera organizzata, in aiuto ai minatori, in quanto c’era carenza di manodopera. E Giuricin restò profondamente impressionato dalla solidarietà e dall’incredibile collegialità che contraddistingueva il lavoro in miniera. Ogni minatore non badava soltanto alla propria sicurezza e dell’incolumità del collega più prossimo ma era pronto ad accorrere in aiuto, ad ogni istante, anche tutti gli altri, a costo di rischiare la vita. Un’atmosfera da cameratismo dunque, che difficilmente si riscontra in altri ambienti e in altre situazioni. Fu un’esperienza che affascinò a tal punto Giuricin da indurlo a ritornare in miniera. Questa volta però non più armato di pala e piccone ma di una macchina fotografica, per immortalare per sempre, per sè e per gli altri, quel mondo sotterraneo mistico, eccitante, magico.
Nacque così questo nuovo ciclo di fotografie che giustamente porta il titolo «Il tramonto di un’epoca». Con questo progetto Giuricin ha voluto rendere omaggio a tutti i minatori, ma ha voluto anche onorare i tantissimi minatori scomparsi: dove a perire nel corso delle attività secolari delle miniere istriane furono più di un migliaio. A volte in singoli infortuni, altre volte di immense tragedie; come quella del 20 febbraio del 1940, quando al termine dell’orario di lavoro del turno di notte, si udì una violenta esplosione. Provocò la morte istantanea di 186 e il ferimento grave di altrettanti minatori che in seguito, dopo strazianti e lunghe agonie, morirono in ospedale. Un altro grave lutto si abbatté sui minatori del 1948: in quel fragoroso scoppio i morti furono almeno una ventina. L’esatto numero delle vittime non si seppe mai perchè il regime di allora tentò di minimizzare le conseguenze del tragico evento, considerandolo da una parte come una vergogna e dall’altra come un possibile atto di sabotaggio nemico. Tra le vittime c’era infatti anche un buon numero di prigionieri di guerra tedeschi.
Giuricin deve la sua fama soprattutto per la sua fotografia a colori, le sue sperimentazioni cromatiche, innovative e creative, ma anche profondamente sensitive. Questa volta però, egli ha dovuto forzatamente abbandonare il colore. Nella miniera, dove c’è la preponderanza assoluta e il dominio incontrastato del nero, è risultata più che naturale questa sua scelta monocromatica. Ne ha guadagnato però l’espressività, l’essenzialità e se vogliamo la sincerità del suo racconto. D’altro canto invece, Giuricin è rimasto fedele e conseguente a se stesso ed al suo concetto di immaginare l’immagine. Rivivendo la vita in miniera e condividendo con i minatori la sorte si è immedesimato del tutto con la realtà e ai minatori ha effettivamente tastato il polso. Ha potuto farlo perchè, già partendo da casa per recarsi da Rovigno alla miniera, ha riflettuto a lungo su ciò che voleva. E avendo già deciso, una volta sceso nel sottosuolo non ha dovuto far altro che scattare: era sicuro di sè. Sono nate così ottanta immagini riflettute, ben scelte per rappresentare questo ciclo produttivo così particolare, senza bisogno di ricorrere a mille scatti e a mille provini, come avrebbero fatto al posto suo molti altri fotografi. Si tratta dunque di fotografia estremamente razionale, che non permette nè sorpresa nè improvvisazione, ma nel contempo illustra i momenti salienti di ciò che è oggetto dell’interesse dell’autore: questa particolare attività dell’uomo.
Come conseguenza logica di questo processo razionale e creativo, volendo rendere tutto più reale e d’effetto, Giuricin ha avuto la geniale idea di abbinare alla parte visiva del suo lavoro anche un sottofondo acustico. É riuscito così a registrare grazie all’aiuto dei tecnici, fuori e dentro la miniera, tutti i suoni caratteristici per questo duro lavoro. Ricorrendo all’uso di utensili del mestiere ha inoltre realizzato delle installazioni. Tra queste è particolarmente espressiva quella che porta il titolo «Luce nelle tenebre», che esprime fedelmente la sensazione del buio della miniera e nel contempo la forza sovrumana del minatore che riesce a superare ogni difficoltà.
Oggi tutto ciò che Giuricin ci fa vedere e udire appartiene al passato. Nelle miniere albonesi sono ritornate le tenebre e l’acqua ha invaso tutte le gallerie. Quel che rimane è questa fedele e creativa documentazione di Giuricin che, con questo suo nuovo ciclo, si ripropone ancora, chissà per quale volta, da grande, esclusivo fotografo istriano e da artista polivalente e completo. Questo progetto di Giuricin rappresenta una preziosa, autentica e irripetibile testimonianza di un’attività industriale che fu estremamente importante per l’Albonese e che oggi non esiste più per cui la sua è un’impresa che assume anche maggior valore poiché indica, in modo dignitoso e convincente, la maniera più adeguata da seguire per salvaguardare e valorizzare perennemente il ricco patrimonio minerario albonese.