TUOL SLENG – LA TENEBRA DELL’ OBLIO

MOSTRA FOTOGRAFICA

di Paolo Pagni di Montevarchi (AR)

 

 Recensione di  Paolo Pagni

 

Perché “QUESTE” fotografie…

La conoscenza non è che raramente percezione diretta delle cose (conoscenza diretta); quasi sempre essa è percezione sensoriale (visiva, uditiva,ecc.) della loro apparenza (conoscenza mediata).
L’essere non è pertanto “in sé” (essere-soggetto), ma nella sua apparenza (essere-oggetto) e questa riveste una tale preminenza che l’essere finisce per identificarsi nella propria immagine.
La mancanza di apparenza (di immagine) si traduce così nella impossibilità a venire conosciuto e corrisponde praticamente alla non-essenza, alla non esistenza; all’opposto, creare l’apparenza, ossia produrre l’immagine indipendentemente dall’essere, equivale a creare l’essere al di là del reale (“il non-essere è?”).
In sintesi, se l’apparire è carattere fondamentale e necessario dell’essere, ciò che non appare non è.
Per questo motivo, per negare o sopprimere un fatto, è sufficiente non farlo apparire, sopprimerne l’immagine, non portarlo, come si dice, a conoscenza, utilizzando adeguatamente gli strumenti della conoscenza mediata (i media, appunto).
Nel processo di conoscenza, la preminenza sulle altre della percezione visiva, fa sì che nel linguaggio comune sia spesso utilizzata la metafora luce-conoscenza/buio-non conoscenza (si veda, ad esempio, il signficato di fare luce).
Nell’ambito di un viaggio turistico in Indocina, la breve visita non programmata a Tuol Sleng, in un pomeriggio poco prima del tramonto, ha assunto per l’autore il significato di una esperienza unica, che ha finito per sovrastare largamente le altre sensazioni ed ha stimolato tale riflessione.
I raggi del sole, che dalle fessure delle pareti e dalle finestre, accendono degli spot luminosi sui volti e sugli oggetti di questa scuola del terrore, sembrano riflettori che scrutano nelle tenebre e rappresentano come dei tentativi di far emergere dal buio della non-conoscenza (o del rapido e colpevole oblio) fatti e notizie che (sia per il loro intrinseco significato, sia per l’insegnamento che avremmo supposto ben più potente da parte di analoghe vicende della nostra storia), avrebbero dovuto essere di pubblico dominio e di monito ulteriore.
La fotografia, nel rifarsi al suo significato letterale di scrittura attraverso la luce, sembra rappresentare il mezzo ideale per trasferire queste impressioni su di un substrato dotato di immediata comunicabilità (immagini).
Questo lavoro, nella consapevolezza dei propri limiti, vuole essere soltanto un piccolo contributo per la conoscenza di un grande problema mantenuto colpevolmente nascosto e – conseguentemente – per stimolare riflessioni sulla natura e sulle motivazioni che determinano i comportamenti dell’uomo.
             L’essere è, il non essere non è.  (Parmenide, VI sec a.C.)